venerdì 9 novembre 2012

[MANCU LI CANI- cronache da una California mancata -first season- episode 1 L'ANNO DEL ROTTWEILER] Tra l’anno nuovo 2011 del Coniglio e l’anno nuovo 2012 del Drago s’incunea a perfezione l’anno del Rottweiler, con Sua Eccellenza dei diversivi estivi. D’altronde, come poteva iniziare una saga del genere NEANCHE I CANI senza il sommo rappresentante della specie. Per chi abita in campagna ogni anno ce ne sta una. Una mattina di luglio in contrada Giardinelle l’emergenza assume le sembianze muscolose di un Rottweiler randagio con catena spezzata al collo parcheggiato in giardino, a metà del tragitto tra la porta di casa e lo sportello dell’auto; una mattina che esci di casa per lavoro, fregiato al valore per sole 4 ore di sonno e un lasso temporale tra allarme della sveglia e chiusura delle mandate in meno di venti minuti. Il Rottweiler mi guarda decisamente spaventato, devo avere una faccia. Decido, per la prima volta nella mia vita agreste, di evitare di affezionare l’invasore ai paraggi di casa dandogli da mangiare, avendo in mente per il gatto Addio di appena tre mesi un programma di educazione montessoriana di autocostruzione-libertà-e-attività-spontanea volte a forgiarsi il carattere tra le meraviglie della natura. Quindi, niente ciotola alla mascella più pericolosa della specie canina, che intanto mi guarda con chiara speranza di adozione. Nei lunghi istanti di attesa che mi separano dall’impegno mattutino dall’altra parte del Salento, lo sguardo che ci scambiamo io e il cane è di vicendevole commiserazione. Io commisero tutti i randagi del mondo e auguro dissenterie abbondanti agli stronzi che li abbandonano e lui commisera me, che, per fargli trovare una casa che non sia la mia, dovrò avventurarmi nel calvario italiano della burocrazia. Poca cronaca per gli slalom psicologici familiari, la Madre che querula “insomma però proprio un rottweiler…” come se avessi sbagliato io a scegliere la razza dell’invasore e per lo scambio di strategie paramilitari tra parenti di diverse scuole di pensiero. Mi guadagno il tempo di riflettere nel tragitto in auto, perchè il cane, finalmente, al segno del mio passo verso di lui, si è allontanato dalla parte opposta. Salgo in macchina, sperando che proprio oggi non passi da casa il nostro tuttofare, un uomo generoso, ma di metodi rustici e spicci nella soluzione dei problemi, di eredità contadina. Nella ragionevolezza emotiva che solo Radio 3 può darti alle 8 del mattino, penso bene di avviare l’ITER, fidandomi di un residuo di fiducia nelle Istituzioni del mio paese e ripescando dall’infanzia, passata a leggere le mille sfighe di Paperino, la figura romantica e buffa dell’accalappiacani comunale. L’iter, tradotto nell’italiano delle emergenze, vuol dire sbrogliare l’auricolare e comporre il numero del tuo amico assessore alla cultura, che è poi l’eccezione alla categoria dello spirito degli assessori, non foss’altro che per la sfortunata tipologia di assessorato che merita un certo supplemento di compassione, anche lui come me e questo cane, in una torrida giornata di luglio. Nell’incrocio di reciproche compassioni che si sviluppa tra gli attori di questo circo meridiano, al Drugo in questione che sarei io, sempre spanzata nella pineta salentina, sopraffatta dal divertimentificio sforzato, 60 chili di merengue sovrappeso, si spalancano le porte della percezione. Qui sì, che non servono stupefacenti. A che serve la chimica farmaceutica, quando la realtà aumentata della tua personale applicazione al mondo salentino supera di grandissima lunga l’immaginazione. L’Assessore amico è veramente amico e prodigo, prova a stare a galla nell’irragionevolezza delle prassi istituzionali: mi manda a casa il Comandante dei Vigili Urbani e una squadra di accalappiacani. Dovrei saperlo, che nella parola squadra alberga una certa ironia. In un pomeriggio torrido, di quei 42 gradi generosi e violenti che si sviluppano da noi in casi come questi, arrivano la volante e il furgoncino. La volante coi due vigili, che in una cortesia oltremisura celano l’imbarazzo della rappresentanza di ciò che sommamente non può funzionare in questo paese. Il furgoncino con i due accalappiatori in calzoncini e cappellino, aria da impiegati in vacanza al mare. Dopo i vari convenevoli: “Il cane c’è?” “Non saprei, facciamo un giro. Sa, non è che sia così spensierata a passeggiare qua intorno” “Si, certo, posso capire”. Pochi passi e un mélange di colori Rottweiler spunta da una cunetta, il cane è visibilmente svaccato sotto un fico d’india. Avvisiamo gli accalappiacani rimasti indietro ad attrezzarsi, dove “indietro” è la metafora della telenovela che sta per andare in onda. Il Vigile espira, mani alla vita, affaticamento da eccesso di vestizione altrimento detto divisa, “stanno preparando le cerbottane”. Non sentivo questa parola dai fumetti di Paperino. Sia. Gli accalappiatori dotati di aste lunghe di metallo avanzano lentamente verso il cane, che nel frattempo con altrettanta calma alza la testa e pensa “che noia questi, stavo dormendo così bene”, si alza, un metro buono al garrese e coda tra le gambe se solo i rottweiler ne avessero una. Quella che pare essere una femmina giovane inizia a trotterellare in direzione fuga. I cerbottanti la seguono al trotto umano, inseguire non è parola da 42 gradi meridiani di fine luglio, potrebbe nuocere alla salute, potrebbe perfino mandare a segno il colpo. Io e il Comandante Capo dei Vigili Urbani rimaniamo a guardare, mani alla vita come due comari rassegnate, non osiamo guardarci negli occhi, la consapevolezza dell’ineluttabile potrebbe deprimerci irreparabilmente. Il gatto Addio latra di disperazione, non si capacita dell’essere escluso da tutto quest’inutile traffico qua fuori, chiuso da giorni a giocare alla noiosissima caccia alla mosca dentro casa. Dopo pochi minuti gli accalappiacani tornano indietro. “Niente da fare, il cane si è allontanato. Comunque signorina, per il mio modesto parere di esperienza trentennale può stare tranquilla. La cane non è aggressiva, è femmina malata con uno stato avanzato di cimurro agli occhi, sicuramente tiene pochi giorni di vita”. Segue un minuto di silenzio. Non mi soffermo sulle singole parole. Non lo faccio manco sugli insiemi e i sottinsiemi, le intersezioni e le sfumature perché potrei cadere in coma logico. Non è che quest’uomo non abbia autorevolezza, dritto davanti a me, l’aria ammutinata da impiegato in vacanza e la visiera del cappellino che mi arriva al muso. Non è che l’abito faccia il monaco. Semplicemente a volte ti disegna un presentimento. Ci salutiamo tra protagonisti di un pomeriggio demenziale, il Vigile rientrato da pochi mesi dal Settentrione anche lui abbastanza attonito, consapevoli della per sempre mancata occasione di catturare la cane sebbene prodighi di ipotesi di catture alternative. Guardo le loro auto allontanarsi sul vialetto di casa. Il gatto Addio rimbalza sui mobili di casa come pallina da flipper, se non rincaso entro 5 minuti sfonda la zanzariera con una craniata. Ma sono immobile, inchiodata al misero tentativo di riappacificazione con l’Istituzione italiana che niente può perché non ci sono i mezzi figuriamoci gli uomini e i neuroni. Volto le spalle al crepuscolo e mentalmente mi organizzo per un corso estivo di freccette al curaro. Dovessero funzionare mi facessero eroina dell’Amazzonia salentina. Post scriptum. Il fax destinazione ASL giace nella caldazza ferragostana sulla scrivania del Comune in attesa del prossimo avvistamento utile della cane da parte della sottoscritta. Si aspetta che alla cane poi pigli una paralisi per il tempo che serve ad inviare l’sms, far partire il fax, far rispondere alla ASL e attendere l’arrivo della nuova squadra di accalappiacani. Che al posto delle freccette convenga fare un corso intensivo di ipnosi?

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